Il Parco della Sora

 

Dove si trova

Il Parco della Sora è compreso nel territorio del Parco Naturale della Valle del Ticino, il primo parco regionale istituito in Italia nel 2002 con L.R. n. 31 del 12 dicembre, che ammonta a oltre 20.000 ettari di superficie situati principalmente lungo l’asta fluviale e costituiti dalle aree di maggior pregio naturalistico gestite dall’Ente Parco Lombardo della Valle del Ticino (www.parcoticino.it ). Fanno parte dell’Ente Parco 47 Comuni, fra cui l’intero territorio di Pavia.

In particolare, il Parco della Sora si trova a ridosso della periferia ovest di Pavia, che si allunga seguendo il terrazzo della valle fluviale, allacciandosi alle diverse frazioni di Torre d’Isola, fino a Bereguardo.

Il progetto Vie Verdi del Parco del Ticino (www.vieverditicino.it) ha consentito la mappatura georeferenziata dei percorsi del Parco del Ticino creando una rete di itinerari ciclopedonali fruibili dai visitatori, tra cui l’itinerario l’Anello della Sora, lungo poco più di 4 km. Il percorso si sviluppa in parte su strada urbana, da via San Lanfranco - poco a Ovest della Basilica di San Lanfranco, via Mascherpa, Strada del Chiozzo e Strada della Sora – e scende nel Parco. Da qui il percorso arriva direttamente fino al greto del fiume e torna indietro lungo un comodo sentiero interno quasi parallelo al fiume fino al punto di partenza.

Il Parco della Sora, tuttavia, è dotato di una sentieristica interna ben più ricca, che si articola all’interno di una fascia vegetata compresa fra il terrazzo e una grande ansa del fiume.

Il Parco e la storia

Le mappe catastali attuali indicano una toponomastica storica sul sentiero principale di accesso al Parco: si tratta della Strada vicinale del Porto S. Sofia, che devia verso nord-ovest circa all’altezza del Sentiero del Gufo proprio verso la località dell’attuale Cascina S. Sofia.

In effetti, fino alla metà circa del XIX secolo a Santa Sofia c’era un importante porto fluviale; la località, peraltro, ricorre ampiamente nella storia di Pavia, di cui probabilmente costituì il nucleo originario. Per la sua posizione strategica divenne l’accampamento di molti eserciti: basti citare gli assedi di Alboino nel 569 e di Carlo Magno nel 773. Risalgono a Carlo Magno le origini della Cappella di cui conserviamo traccia.

Dalla parte opposta del Parco, poco oltre l’ingresso da via S. Lanfranco, c’è appunto l’Abbazia di San Lanfranco: un complesso monumentale fondato nel 1090 e costituito da una chiesa con torre campanaria e un monastero, sede in passato di una congregazione di monaci vallombrosani. La chiesa venne dapprima dedicata al Santo Sepolcro e poi definitivamente al Vescovo Lanfranco Beccari, che qui fu sepolto nel lontano 1198.

Per la sua posizione si può definire una chiesa di terrazzo, al cui piede si trova una lunga lanca, residuo di un antico alveo fluviale abbandonato per diversione.

Infine il Parco è attraversato dalla Roggia Referendaria, nota sin dalla fine del XV sec., che proviene dal comune di Battuda a nord-ovest ed è lunga circa 15 km.

Come si sviluppa

Al Parco si accede da tre punti, indicati dalla cartellonistica sulle relative vie urbane: l’ingresso principale, a cui si arriva con più accessi dalla Strada della Sora; l’ingresso dalla Strada del Chiozzo e l’ingresso dal fiume - a cui si arriva da via San Lanfranco all’altezza di P.le Tevere - che si allaccia alla recente pista ciclabile del lungofiume.

Nonostante la contiguità con l’incasato urbano, seppure periferico, e il parziale uso agricolo del suolo, questo parco urbano mostra caratteristiche forestali di particolare pregio e racchiude micro-ambienti diversi tra loro, ma parte di un mosaico anbientale complesso e biologicamente ricco. In tale ambito, si distingue a nord la zona dei prati aridi, coronati da fasce ad arbusteto misto, mentre nell’area centrale ed in quella a ridosso del Ticino si trovano un’alternanza di aree umide, bosco misto e ripariale.

Il Parco è percorso da sentieri larghi e comodi, indicati dalla nuova cartellonistica, il cui nome richiama una caratteristica locale attuale o del recente passato.

Il Sentiero della Quercia, all’ombra di grandi querce, noci e cornioli, porta dritto al greto del fiume, sulla grande spiaggia ghiaiosa del meandro; a metà circa del sentiero della Quercia si dipartono il Sentiero del Gufo verso ovest e il Sentiero del Fagiano verso est, che raccorda il Sentiero della Quercia alla chiusura dell’anello del Sentiero del Gufo.

Poco prima dell’arrivo al greto si incrocia anche il Sentiero del Biancospino, una specie di corridoio in mezzo alla vegetazione.

Il Sentiero del Gufo ha un percorso quasi ad anello, che attraversa la Roggia Referendaria verso est, arriva al fiume per poi costeggiarlo e rientra verso l’interno più a valle, andando ad incontrare di nuovo la Roggia Referendaria e ad incrociare il Sentiero del Fagiano, verso l’ingresso della Strada del Chiozzo.

Lungo il Sentiero del Gufo si sviluppa un Percorso Vita, installato all’inizio degli anni ‘90.

Prima della Roggia Referendaria dal Sentiero del Gufo si dipartono un breve sentiero senza nome e a fondo cieco, che porta al fiume, e il Sentiero del Picchio, che scorre parallelo all’ultimo tratto della roggia fino all’uscita dal Parco lungo il fiume.

Ogni zona che i sentieri attraversano presenta delle caratteristiche proprie e valorizzate dai cambiamenti stagionali. In tutto il Parco comunque possiamo trovare tantissime specie arboree, arbustive ed erbacee che formano boschetti o radure, con fioriture pregevoli negli spazi interni più meno ombreggiati o tappezzanti ai lati dei percorsi. Tra le più comuni specie vegetali possiamo incontrare: acero, noce, pioppo, olmo minore, quercia, corniolo, melo selvatico, gelso, robinia, salice bianco, nocciolo, fusaggine, ailanto, sambuco, evonimo, viburno, parietaria, clematite, ortica, vite bianca, edera, bambù, biancospino, mora selvatica, iperico, timo, sedum, centaurea, tanaceto, ginestra, caprifoglio, rosa canina e molte graminacee.

Le ricche fioriture sono indispensabili per le esigenze di molti insetti impollinatori, utili per l’equilibrio ecologico degli ecosistemi.

Anche il patrimonio faunistico è degno di considerazione: nelle aree umide, alimentate spesso da acque sorgive, si trovano diverse specie di anfibi; la popolazione ornitica è molto ricca e comprende specie diverse di picchi (Picchio verde, Picchio rosso maggiore e minore) e i rapaci notturni, fra i quali l’Allocco e il Gufo comune, che prima nidificava stabilmente.

Camminando si incontra ...

La nuova cartellonistica prevede 10 pannelli informativi riferiti ad altrettanti punti di interesse, in modo da guidare il visitatore verso una lettura consapevole del territorio.

Spesso, infatti, alcuni aspetti ambientali poco vistosi passano inosservati e quelli che più ci incuriosiscono non li conosciamo bene.

I pannellli e le indicazioni dei sentieri, e anche questa bacheca, sono dotati di un codice QR (abbreviazione dell’inglese Quick Response, cioè risposta rapida), che è un codice bidimensionale racchiuso in uno schema di forma quadrata, normalmente impiegato per memorizzare informazioni destinate a essere lette tramite un telefono cellulare o uno smartphone muniti di fotocamera e di un apposito programma di lettura.

Nel nostro caso i codici QR memorizzano un link ad una pagina web specifica, su cui si possono avere più informazioni rispetto a quelle sintetiche riportate sui pannelli e sulla bacheca.

... all’ingresso del Parco

Per arrivare all’ingresso principale del Parco occorre scendere dal terrazzo fluviale (1), cioè il raccordo fra il piano di campagna della pianura, più rilevato, e la valle del fiume, in buona parte alluvionale.

In questo tratto la valle del Ticino è ampia almeno 5 km e il fiume si trova quasi a ridosso del suo versante sinistro; il gradino di terrazzo è alto circa 12 metri e le case a nord del Parco sono a loro volta distese lungo una discesa di terrazzo che gradualmente si innalza, allontanandosi dalla valle per altri 7-8 metri.

Al piede del terrazzo si osservano due piccoli bacini di acque sorgive (2) alimentate dal terrazzo stesso. Il fenomeno, in realtà, è presente lungo tutto il piede del terrazzo, ma si può osservare solo in alcuni punti per la difficoltà di accesso, soprattutto nella stagione vegetativa. Da questi bacini partono due rigagnoli: uno lungo il Sentiero della Quercia, che si perde nei campi, e l’altro verso est, indicato come ruscello Sorgente (9), che sfocia nella Roggia Referendaria (4).

Appena intrapreso il Sentiero della Quercia si osserva un’altra piccola raccolta sorgiva sulla destra.

Sempre all’inizio la segnaletica indica, accanto a "Sentiero della Quercia", l’antico toponimo di Strada vicinale del Porto di S. Sofia (3), già ricordato nel riquadro con i richiami storici: fino alla metà del sec. XIX portava al porto situato poco a monte, sul meandro di S. Sofia-Massaua con il terrazzo quasi a picco sul fiume.

Nei tempi floridi del trasporto fluviale era uno dei più importanti fra gli 11 porti sul fiume Ticino posti fra il Lago Maggiore e la confluenza con il fiume Po.

Nel Medioevo venivano sbarcati i marmi per la Certosa di Pavia, provenienti dalle cave del Lago Maggiore.

... lungo il Sentiero della Quercia

Percorrendo un breve tratto lungo il Sentiero del Gufo si arriva alla Roggia Referendaria (4), anch’essa citata nel riquadro storico per le sue origini antiche all’interno del fitto reticolo irriguo, che risale alla fine del XV sec. La roggia è la spina dorsale del Parco perché lo attraversa per tutta la sua lunghezza; l’alveo è spesso asciutto, ma rimangono comunque estese zone umide con acqua molto vicino alla superficie, che consentono la formazione di habitat molto peculiari.

Dopo aver attraversato il Sentiero del Gufo verso la Strada del Chiozzo la roggia riceve le acque del ruscello Sorgente (9), alimentate dai bacini sorgivi all’ingresso e da sorgenti diffuse lungo il terrazzo, e va a formare estese zone umide più a valle.

Riprendendo il Sentiero della Quercia poco più avanti ci si affianca ad un piccolo bosco di bambù (5), una pianta alloctona ma ben ambientata, che si sviluppa proprio dentro l’alveo depresso e umido della Roggia Referendaria. Un’altra macchia boschiva si trova sempre lungo la roggia più a valle, dopo aver attraversato il Sentiero del Gufo e ricevuto le acque sorgive dal terrazzo.

Proseguendo si arriva al fiume.

... arrivati al grande meandro

Alla fine del Sentiero della Quercia si arriva al greto del fiume (6), molto esteso e ricoperto soprattutto da ghiaia grossolana; non mancano, però, zone sabbiose, soprattutto nella porzione più a valle.

Qui la vegetazione boschiva si interrompe abbastanza bruscamente e si passa, sulla ghiaia, alla vegetazione pioniera tipica delle rive fluviali: salici e pioppi, spesso molto inclinati verso valle, spinti dalla corrente durante le fasi di maggiore portata.

Il deposito sabbio-ghiaioso si estende a forma di mezzaluna: proprio davanti al Sentiero della Quercia ha l’ampiezza massima, che si riduce allontanandosi verso monte e verso valle, e debole pendenza: è la forma tipica delle sponde interne del meandro (7), contrapposta alla sponda verticale della sponda esterna, dove invece prevale l’erosione.

Di fronte, infatti, sono ben visibili gli interventi di protezione spondale, che "inseguono" la tendenza del meandro a "scivolare" verso valle.

... lungo il Sentiero del Fagiano

Il Sentiero del Fagiano raccorda l’incrocio fra i Sentieri della Quercia e del Gufo, dove comincia, ad ovest e la fine sempre del Sentiero del Gufo verso est, sviluppandosi quasi parallelo alla Roggia Referendaria il cui alveo diventa ben visibile circa a metà sentiero.

Il sentiero termina al ponte sulla roggia, davanti al boschetto di bambù.

... lungo il Sentiero del Gufo

Imboccando il Sentiero del Gufo dal Sentiero della Quercia si incontra il Sentiero del Biancospino, che passa all’interno della macchia arbustiva andandosi a riallacciare al Sentiero del Gufo più a valle, e si arriva al fiume dove termina il meandro di S. Sofia-Massaua: ci si trova su una sponda di erosione e si vede sulla sponda opposta, verso monte, il deposito ghaioso sulla sponda interna.

Proseguendo lungo il fiume si incontra nuovamente il Sentiero della Quercia: si è arrivati al greto del fiume (6) e al meandro (7).

Il sentiero sale leggermente e si porta sulla sponda tornata verticale e soggetta ad erosione, che periodicamente costringe a modificare il percorso spostandolo verso l’interno; sono ben visibili alberi e arbusti rovesciati sulla riva o ormai stabilmente incassati nelle acque basse poco distanti.

Vicino all’incrocio con il Sentiero del Biancospino, poco dietro la sponda opposta si vede bene l’argine (8), che in questo tratto arriva molto vicino al fiume rendendo necessarie robuste massicciate protettive: lo scalzamento dell’argine, infatti, avrebbe effetti disastrosi sull’area golenale retrostante. Si intravede anche, sempre sulla sponda opposta, il deposito fluviale del meandro successivo.

Alla chiusura del Sentiero del Gufo si attraversa di nuovo la Roggia Referendaria su un robusto ponte, dietro il quale si sviluppa – nell’alveo e nei dintorni della roggia stessa – un modesto ma fitto bosco di bambù; l’altro boschetto si trova dove la Roggia attraversa il Sentiero della Quercia.

Avviandosi verso l’uscita della Strada del Chiozzo, sulla curva del sentiero oltre la quale inizia la salita del terrazzo, da sinistra arriva il ruscello sorgente (9), alimentato quasi sempre dalle acque sorgive vicine all’ingresso principale e comunque sempre attivo grazie alle emergenze sorgive diffuse lungo tutto il piede del terrazzo, dove dal terreno trasuda costantemente acqua.

Quando la falda si alza si formano anche grandi pozze sorgive che allagano le aree più ribassate.

... lungo il Sentiero del Picchio

Il Sentiero del Picchio passa attraverso due ampie zone boscate; non molto prima di uscire dal Parco per arrivare sul lungofiume, sulla sinistra compaiono i primi equiseti (10) dalla forma a bastoncino e di colore verde scuro, che diventano sempre più fitti: è l’equiseto invernale, chiamato così per i fusti persistenti durante l’inverno. La sua presenza segnala un suolo intriso di acqua: siamo arrivati vicino ad una zona umida, che si può osservare addentrandosi per un breve sentiero poco visibile e spesso poco praticabile, attorno alla Roggia Referendaria.

Questa fascia umida si estende lungo tutto il piede del terrazzo, ma solo qui diventa visibile e in parte accessibile.

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In fondo al Sentiero della Quercia . . .

Proseguendo per il Sentiero della Quercia, oltre l’incrocio con il Sentiero del Gufo e il Sentiero del Fagiano, si arriva ad una grande spiaggia prevalentemente ghiaiosa: è la sponda interna del meandro della Sora, dove la debole corrente ha progressivamente depositato ghiaia e sabbia. Nella stagione calda nelle acque basse vicino alla riva si sviluppa anche un po’ di vegetazione acquatica, soprattutto il ranuncolo d’acqua.

Sulla sponda opposta, invece, la corrente è rapida e l’alveo profondo: è la sponda esterna di erosione, dove l’uomo è intervenuto più volte nel tempo per collocare barriere protettive di prismate (quelle più vecchie, fatte di cubi di conglomerato cementizio di circa 50 cm di lato) o massicciate (realizzate con massi naturali prelevati nelle zone montuose) allo scopo di preservare l’integrità dell’argine posto poco dietro.

Cosa sono i meandri?

In montagna i corsi d’acqua hanno una elevata velocità di corrente per la forte pendenza del loro letto; pertanto tendono ad avere un percorso quasi rettilineo.

In pianura, invece, scorrono più lentamente e il percorso diventa sinuoso, potendo anche scavare facilmente su sedimenti mobili, come ghiaia, sabbia e limo. Quando le anse sono molto accentuate prendono il nome di "meandri", caratterizzati da una sponda esterna, di erosione, ed una interna di deposito: nella prima l’acqua scorre velocemente e scava sia il fondo, aumentandone quindi la profondità, sia le rive, che in genere sono verticali e quasi prive di vegetazione per la loro instabilità; nella seconda l’acqua, invece, rallenta e deposita i sedimenti più fini formando spesso vere e proprie spiagge.

I meandri nel tempo

Con il passare degli anni il meandro modifica la sua forma e persino la sua posizione: la sponda di erosione, infatti, viene continuamente scavata e "scivola" verso valle; sul lato opposto, invece, i depositi guadagnano terreno e avanzano.</p>

<p style="text-align: justify">In questo modo può succedere che due meandri consecutivi arrivino a "tagliarsi", cioè a scavarsi un nuovo segmento di alveo che li collega: qui la velocità tende ad aumentare, mentre il vecchio meandro, ormai "abbandonato" dalla corrente principale, lentamente si trasforma in una lanca.

I meandri del Ticino a Pavia

Nel tratto fra il Ponte di Chiatte di Zerbolò-Bereguardo e Pavia il fiume Ticino ha un andamento molto naturale e sinuoso, pur mantenendosi sempre sul lato sinistro della sua ampia valle: scendendo si incontra il maestoso meandro di Casottole, quello di Torre d’Isola, l’inversione ad U del Canarazzo, il lungo meandro di S. Sofia e Massaua, quello del Parco della Sora e, infine, quello della zona Chiozzo-San Lanfranco.

A Pavia il fiume si distende lungo un tratto poco sinuoso per riprendere a meandreggiare a valle, prima della confluenza nel fiume Po.

Alcuni di questi meandri, quelli più a ridosso delle abitazioni o dell’argine, hanno vistose protezioni spondali sulla sponda di erosione: al Canarazzo, punto in cui storicamente l’argine si è dimostrato vulnerabile (l’ultima rottura nota risale al 1868), alla Sora, al Chiozzo.

Nel tratto urbano la linearità del percorso è evidentemente artificiale, da un progetto che risale addirittura alla metà del XVIII sec. e realizzato per proteggere dall’erosione le mura della città e l’ingresso da Porta Calcinara, appena a valle del Ponte della Libertà.

Il meandro del Parco della Sora

Al Parco della Sora il Ticino arriva erodendo in sponda sinistra, quella del Parco, e di fronte è visibile un ampio deposito sabbio-ghiaioso; l’acqua urta contro la sponda, ben protetta da grandi massi squadrati che, però, sono poco visibili perché ricoperti dalla vegetazione. Quando il Sentiero del Gufo arriva al fiume ci si trova in alto rispetto al livello dell’acqua, con la sponda quasi verticale.

Dopo l’urto la corrente si sposta sull’altra sponda, spostando anche la sua erosione: dove termina il deposito a forma di mezzaluna in sponda destra, inizia il grande deposito, con forma analoga, sulla sponda del Parco. Si può scendere e avvicinarsi all’acqua, tranquilla e poco profonda.

Sul greto si trovano sassi di diverse dimensioni, lisci e tondeggianti com’è tipico della ghiaia di pianura dopo un lungo percorso da monte a valle rotolando, saltando, urtando, sminuzzandosi e smussando progressivamente i loro spigoli. Questa spiaggia è particolarmente ricca di sassi piatti, a forma di disco: sono sassi che hanno smesso da tempo di viaggiare e, fissati sul fondo, sono stati levigati dai detriti solidi trasportati dall’acqua.

L’erosione in sponda sinistra riprende dopo la spiaggia: nell’inverno fra il 2014 e il 2015 ha provocato l’arretramento del sentiero costiero per la caduta di molti alberi e arbusti marginali e il franamento della sponda verticale.

Nel punto più largo dello spiaggione la sezione dell’alveo si restringe, provocando un aumento della velocità di corrente e, di conseguenza, della profondità e dei fenomeni erosivi: l’acqua diventa turbolenta e vorticosa. A valle del grande vortice il greto diventa sabbioso.

Sulla sponda destra vengono frequentemente realizzate opere di protezione spondale, quasi "inseguendo" le dinamiche fluviali che spostano l’erosione ora in un punto e ora nell’altro.

L’oleodotto

Sulla sinistra del Sentiero della Quercia, prima di arrivare alla macchia di bambù, si osserva una struttura verde in metallo: è la centralina di un oleodotto interrato della ditta Sigemi, che trasporta gasolio dal Porto di Genova al deposito di Lacchiarella.

Il tracciato, segnalato da tubi rossi, attraversa la Roggia Referendaria e il bosco di bambù all’interno di un corridoio mantenuto libero dalla vegetazione; arrivato al fiume, lo attraversa passando sotto l’alveo e prosegue verso il fiume Po.

La casa sull’acqua

Appena superata la grande spiaggia, dopo il deposito sabbioso verso valle, si trova ancorata vicino a riva una piccola abitazione montata su una chiatta in cemento che circa 50 anni fa faceva parte del Ponte di Chiatte di Zerbolò-Bereguardo.

La costruzione di questa casa sull’acqua, a cui si accede da una passerella, probabilmente risale al 1972: i proprietari si ritrovavano per pescare, quando un tempo il Ticino era ben più generoso, e per fare "vita da fiume", un po’ selvaggia ma certamente meno a rischio di stress.

 
 

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Quando si entra al Parco della Sora si incontrano discese più o meno scoscese, che superano diversi metri di dislivello: si tratta dei gradini di terrazzo, che portano dal livello superiore del piano campagna dentro la valle fluviale, che in questo punto dalla Sora arriva fino a Carbonara al Ticino ed è larga circa 5 km.

Il dislivello complessivo è di oltre 20 metri, ma può essere superato con la formazione di un solo gradino quasi verticale, come nel caso di Santa Sofia, della Abbazia di S. Lanfranco o del terrazzo spettacolare della frazione Casottole di Torre d’Isola, o creando più gradini, ripidi o molto allungati e morbidi.

Il terrazzo della Sora

La Strada della Sora si trova già sulla discesa del terrazzo, ad una quota di m 73 s.l.m. (sul livello del mare); per fornire un termine di paragone, a Torradello, frazione di Battuda dove ha origine la Roggia Referendaria, siamo a quota m 93, a Torre d’Isola m 84, alla Cascina S. Sofia m 80. In Piazza della Minerva a Pavia la quota è di m 84.

Al piede del terrazzo, dove ci sono le pozze sorgive, siamo a m 61, per arrivare a m 60 dove iniziano le sponde fluviali.

Alla Sora, quindi, il gradino di terrazzo è alto circa 12 metri.

La scarpata scoscesa rappresenta una sorta di difesa dall’antropizzazione, in quanto è difficilmente utilizzabile. Le sue pendici spesso ospitano boschetti di robinie, che fino a pochi decenni fa, e in parte ancora oggi, costituivano una buona scorta di biomassa rinnovabile per il riscaldamento e per la costruzione di palizzate, ripari, ecc.

La valle fluviale

La valle del Ticino è abbastanza ampia e nel Pavese può arrivare fino a circa 7 km; in questo tratto il fiume scorre spesso a ridosso del terrazzo in sponda sinistra, lasciando un’ampia golena – la piana alluvionale – sull’altra sponda.

In sponda destra diversi centri abitati sorgono sul ciglio della valle: Carbonara al Ticino, Villanova d’Ardenghi, Gropello Cairoli. Sulla sponda sinistra Pavia stessa si sviluppa parzialmente sul terrazzo, compresa la periferia ovest che si affaccia sul Parco.

Un quartiere di Pavia, Borgo Ticino, si trova invece nel fondo valle, come gli abitati del Siccomario (S. Martino, Travacò e Mezzano), tutti golenali ma protetti dagli argini durante le piene del Ticino e del Po.

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Oltre questo cartello si possono osservare due pozze allungate, il cui livello cambia durante la stagione in relazione al regime delle piogge e all’uso di acqua ai livelli superiori del piano campagna.

Quest’acqua non gela quasi mai in inverno perché proviene dal sottosuolo e, quindi, è meno interessata dalle vicende termiche stagionali; per lo stesso motivo in estate rimane relativamente fresca.

Il bacino è quasi interamente e costantemente ricoperto da un sottile tappeto di lenticchia d’acqua (Lemna minor), una minuscola felce galleggiante che può raggiungere densità impressionanti.

Nel dialetto locale viene chiamata "erba ändina", che significa "erba delle anatre", intendendo per tali i germani reali che ne sono ghiotti. Non è un caso che di solito nidifichi una coppia di germani, poco disturbati dal via vai dei frequentatori del parco.

Alla base dei terrazzi fluviali, dove la pendenza cambia bruscamente per entrare nel fondo semi-piatto della valle, spesso si formano raccolte spontanee di acqua sorgente, talvolta favorite dall’uomo con l’escavazione di modesti fossi ciechi o piccoli bacini.

L’acqua penetrata alle quote superiori del terrazzo, che qui alla Sora si trova circa 12 metri più in alto, durante gli eventi piovosi si infiltra fino a raggiungere la falda freatica principale del fiume, il cui livello diventa sempre più alto per capillarità man mano che ci si allontana dal fiume stesso verso i margini della valle.

In alcuni casi le acque non raggiungono il piede del terrazzo perché incontrano nel loro percorso uno strato impermeabile di argilla e formano, quindi, una falda cosiddetta "sospesa": a Pavia il fenomeno è ben evidente nella zona est, a Montebolone, dove il terrazzo si sviluppa su due gradini e ospita diverse sorgenti ruscellanti.

La pozza ovest alimenta un piccolo emissario che scorre appena sotto il Sentiero della Quercia e si perde poco oltre; l’altra pozza alimenta quasi sempre un ruscello, denominato Sorgente, che scorre sotto il terrazzo, sottopassa il Sentiero del Gufo alla base della salita verso l’uscita sulla Strada del Chiozzo e va ad immettersi nella Roggia Referendaria.

Quando la falda è troppo bassa il ruscello è asciutto, ma nel suo percorso drena comunque acqua dal terrazzo e garantisce una piccola portata alla Roggia.

Altre emergenze idriche minori si possono osservare sulla destra del Sentiero della Quercia, a poche decine di metri dall’ingresso.

Non bisogna confondere questi fenomeni sorgivi con le risorgive o i fontanili, che sono tipici non del fondovalle ma dell’alta pianura, più precisamente della fascia dove cambia la pendenza nel passaggio dall’alta alla bassa pianura e le lenti di argilla tendono ad affiorare.

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Il Sentiero della Quercia 

Quello che nel Parco della Sora è chiamato Sentiero della Quercia, richiamandosi ai grandi alberi che si trovano ai suoi lati, è in realtà un tracciato storico, che le mappe catastali attuali segnalano ancora come Strada vicinale Porto S. Sofia; la strada devia verso nord-ovest circa all’altezza del Sentiero del Gufo.

In effetti fino alla metà del XIX secolo a Santa Sofia c’era un importante porto fluviale a cui si accedeva dalle basse rive della Sora: la Strada vicinale era l’accesso principale.

La storia

Già in età preromana questo minuscolo nucleo abitato posto sul ciglio del terrazzo fu l’insediamento primitivo (Pavia Vegia) della futura Pavia e per la sua posizione strategica divenne l’accampamento di molti eserciti che provarono ad attaccare la città: qui si insediò Alboino nel 569 e poi Carlo Magno, nel 773, quando fece costruire la Cappella di cui conserviamo traccia.

La decadenza

In un registro daziale dei primi decenni del XIX secolo si cita ancora il "Porto di Santa Sofia detto della Sora", a rimarcare la vicinanza delle due località. La posizione del nucleo abitato di Santa Sofia, a picco sul terrazzo, non era adatta alle attività portuali, mentre alla Sora la grande spiaggia con le sue acque tranquille e un ampio spazio golenale offrivano i presupposti ideali.

Nel 1841 il comune di Santa Sofia venne soppresso e la località venne accorpata a Torre d’Isola. Circa in quel periodo il porto va in disuso e lentamente se ne perdono le tracce.

L’ultima strada della frazione Massaua prima della Cascina S. Sofia si chiama via del molo, evidente richiamo allo storico porto.

Il porto

Sempre per la sua posizione privilegiata, Santa Sofia divenne uno dei più importanti fra gli undici porti sul fiume Ticino, con funzioni non solo commerciali ma anche militari e approdi su entrambe le sponde, proprio sui ghiaioni vicino alla località Sora. Si tenga conto che nel tempo le dinamiche fluviali portano i meandri verso valle, quindi nei secoli scorsi il ghiaione della Sora era più a monte rispetto alla posizione attuale.

Nel XIII secolo, divenuta un importante nodo di scambio con la Strada della Lomellina, la località Santa Sofia fu riconosciuta come libero comune.

Dal comune di Zerbolò, in sponda destra del Ticino, la "Strada comunale di Santa Sofia" portava al fiume soprattutto carri agricoli per scambi commerciali.

Pochi chilometri a monte, all’incirca in corrispondenza dell’attuale Ponte di Chiatte, c’era il Porto di "Parasacco e Pissarello": in sponda destra fluviale la prima località, frazione di Zerbolò, e in sponda sinistra l’altra, distrutta da una violenta alluvione verso la fine dell’800. A valle si incontrava il Porto di Borgo Ticino, l’ultimo appena prima della foce nel Po, allora ben più vicina di adesso.

Al Porto di Santa Sofia venivano sbarcati i marmi per la Certosa di Pavia, provenienti dalle cave del Lago Maggiore.

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Il reticolo irriguo

A partire dal VII-VIII secolo i monaci Benedettini iniziarono la grande trasformazione paesaggistica della pianura padana ponendo le basi dell’agricoltura strutturata e organizzata: realizzarono fontanili a nord della fascia delle risorgive, bonificarono vaste aree paludose, "inventarono" le marcite sfruttando la ricchezza di acqua e le pendenze naturali dei solchi vallivi fluviali, impostarono il reticolo irriguo principale e una fitta rete di canalizzazioni secondarie.

Nel XV-XVI secolo in Lombardia nacquero i primi consorzi irrigui. A partire per lo più dai corsi d’acqua principali, ma in parte alimentati anche da acque sorgive, si sviluppò quindi una specie di sistema circolatorio che dai grandi canali irrigui e dai navigli si ripartiva in canalizzazioni sempre più piccole: canali, rogge, seriole, fossi ...

Ad oggi in Lombardia questa fittissima rete è lunga complessivamente quasi 400.000 km!

Da dove arriva?

Sui dizionari il termine "roggia" viene definito come canale artificiale di portata moderata, proveniente generalmente da un corso d'acqua più ampio e prevalentemente utilizzato per l'irrigazione... Questa definizione, però, è decisamente riduttiva perché più spesso le rogge fondono artificialità o naturalità a partire dalle loro origini, talvolta almeno in parte sorgive. Inoltre tendono a "naturalizzarsi" con il tempo, spesso quando l’uomo cessa la loro manutenzione.

La Roggia Referendaria (nome dialettale Fandari), riportata anche come Cavo Referendario, fa parte del sistema storico dei canali irrigui di Torre d’Isola. Scavata già alla fine del XV sec., passa sopra la C.na Boschetto, ora frazione omonima, a nord-est del nucleo centrale del Comune e risalente al XIV sec., e segna in parte il confine con il comune di Pavia. La sua provenienza, però, è ben più lontana perché ha origine alla frazione di Torradello nel comune di Battuda e scorre seguendo la naturale pendenza verso sud-est passando vicino alle Cascine Remondò e Brusada, a ovest di Divisa di Marcignago e poi verso Torre d’Isola e nel Parco della Sora, per un percorso di quasi 15 km.

Entra nel Parco sottopassando la Strada della Sora e scendendo dal terrazzo con uno stretto scivolo in cemento.

Il percorso della Roggia nel Parco della Sora

La roggia rappresenta la spina dorsale del Parco, perché lo attraversa per tutta la sua lunghezza: entra da nord-ovest, incrocia il Sentiero del Gufo formando un piccolo bacino umido, si inoltra nella macchia di bambù per poi scorrere verso est costeggiando il Sentiero del Fagiano. Poco dopo il ponte di legno riceve le acque del ruscello Sorgente, proveniente dalle raccolte sorgive all’ingresso del Parco, e scorre sotto il piede del terrazzo formando interessanti zone umide e drenando ancora acque sorgive.

La sua foce nel fiume è interrotta e le acque, quindi, si perdono nel suolo permeabile.

Tranne per brevi periodi dell’anno, l’alveo è asciutto fino all’immissione del ruscello Sorgente.

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Nel Parco della Sora ci sono due grandi macchie boschive di bambù lungo la Roggia Referendaria: una dove l’alveo della roggia sottopassa il Sentiero della Quercia, l’altra dove la roggia sottopassa il Sentiero del Gufo e riceve il ruscello Sorgente, verso l’uscita sulla Strada del Chiozzo.

I fusti più vecchi superano abbondantemente i 10-15 metri di altezza; il sottobosco è buio, fitto e semi-deserto, con l’eccezione di qualche robinia che a fatica riesce ad emergere con la piccola chioma fogliare.

Il bambù

Il termine "bambù" non indica un’unica specie, ma si tratta di un nome collettivo che comprende un gruppo di piante appartenenti alla famiglia delle Pomacee (più note come Graminacee, alla quale appartengono riso, mais e grano). Sono piante sempreverdi che includono circa 1200 specie.

Per lo più originario delle regioni tropicali e sub-tropicali di Asia e America con un’ampia estensione latitudinale (50°N-50°S), comprende specie spontanee anche in Africa e Oceania e copre con le diverse specie un’estesa fascia altitudinale, arrivando anche a 3000 metri sull’Himalaya. In Europa non esistono specie autoctone.

Spesso è associato ai simpatici panda, noti anche per essere simbolo del WWF. Per i panda giganti, che vivono nelle foreste di bambù sulle montagne tra i 1800 e i 3000 metri d’altitudine nella Cina occidentale, rappresenta il 99% della dieta.

Il bambù "madake"

L’introduzione documentata del bambù in Italia risale al 1884, quando l’economista Emanuele Orazio Fenzi, attivissimo botanico per passione, ricevette un diploma di benemerenza all’Esposizione di Torino proprio per quel motivo.

La specie del Parco della Sora è Phyllostachys cfr. reticulata (sin. bambusoides), detta anche "bambù reticolato"; è originario del Giappone dove viene chiamata "madake": ma = comune; dake = bambù.

Come per tutti i bambù, il fusto è cilindrico, con internodi cavi e nodi molto evidenti, dai quali si sviluppano le foglie sottili e lanceolate; cresce molto rapidamente e si riproduce soprattutto per stoloni. La fioritura è occasionale, con cicli di oltre un secolo.

Alla Sora cresce bene nelle depressioni umide e tollera anche periodi di sommersione: a Pavia macchie di bambù si trovano anche lungo i bordi dello stagno a fianco della roggia Vernavola adiacente a via Torretta, e vicino a qualche lanca.

Usi vari

Nelle zone dove è autoctono, il bambù si utilizza come foraggio per il bestiame, cibo per l’uomo, materia prima per numerosissime suppellettili e per attrezzi. Lavorato si trasforma in frecce e coltelli, è utilizzato come legno per riscaldamento o come materiale per la costruzione di case; alcune sue parti sono utilizzate nella farmacopea cinese.

Nel mondo occidentale, anche in Italia, si stanno scoprendo sempre più le potenzialità di questo vegetale in vari campi: arredi soprattutto per giardino, parquet, fibre per vestiti "ecologici", produzione di cellulosa per carta, biomassa combustibile... Per la sua elevata resistenza meccanica ed elasticità, sta avendo impiego anche nell’architettura eco-sostenibile. Ricordiamoci anche le nostre vecchie canne da pesca di bambù!

Trattandosi comunque di una specie alloctona, la sua coltivazione dovrebbe essere ben circoscritta, evitando di facilitarne la diffusione.

Il bambù nel Parco

Anche se i boschetti di bambù sono, a loro modo, quasi affascinanti, non dobbiamo dimenticare che sono assolutamente estranei alla nostra flora autoctona e, quindi, costituiscono una specie di corpo estraneo.

Fortunatamente non si espandono troppo e rimangono abbastanza confinati entro le due depressioni della Roggia Referendaria.

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Arrivati alla fine del Sentiero della Quercia la vegetazione boschiva quasi improvvisamente finisce, il suolo diventa parzialmente sabbioso e inizia una fascia arbustiva di giovani pioppi e salici; poco più in là cominciano i depositi di ghiaia grossolana e i pioppi diventano più radi e piccoli, per poi scomparire avvicinandosi all’acqua: è il greto del fiume, che grosso modo coincide con l’alveo di morbida.

L’alveo di morbida

L’alveo di morbida è, appunto, un’estensione dell’alveo normalmente bagnato che è ben riconoscibile in quanto quasi privo di vegetazione stabile; finisce dove comincia la vegetazione arborea, che può svilupparsi solo se il livello del suolo si innalza rispetto al livello dell’acqua.

Oltre l’alveo di morbida c’è l’alveo di piena, che si allaga – come dice il nome – quando il fiume esonda con piene più o meno importanti, che possono arrivare fino ad allagare quasi tutto il Parco della Sora.

I "pionieri" del greto

Il greto, frequentemente allagato dal fiume, è per lo più privo di vegetazione stabile; allontanandosi dalla riva, man mano che ci si alza e le radici non sono più quasi immerse nell’acqua, compaiono i primi arbusti legnosi: salici e pioppi. Sono i cosiddetti "pionieri", perché sono i primi che arrivano a colonizzare habitat prossimi all’acqua e ostili per molte altre specie.

La s-ciatéla

I sassi piatti si prestano bene ad una delle attività più care ai fiumaroli: il "rimbalzello", ben più noto ai Pavesi con il termine dialettale s-ciatéla, cioè il lancio del sasso piatto sull’acqua facendolo rimbalzare il più possibile.

Il greto

Il greto è fatto soprattutto di sassi di diverse dimensioni, lisci e tondeggianti com’è tipico della ghiaia di pianura dopo un lungo percorso da monte a valle rotolando, saltando, urtando, sminuzzandosi e smussando progressivamente i loro spigoli. Questa spiaggia è particolarmente ricca di sassi piatti, a forma di disco: sono sassi che hanno smesso da tempo di viaggiare e, fissati sul fondo, sono stati levigati dai detriti solidi trasportati dall’acqua.

Si può trovare, però, anche della sabbia, soprattutto nel tratto a valle della spiaggia; c’è sabbia anche intorno agli arbusti e alle erbacee pioniere, perché creano ostacolo alla corrente che, rallentando, deposita materiale fine.

Chi si può avvistare?

Lungo la sponda sono spesso visibili gli aironi: il maestoso Airone bianco maggiore, il più comune Airone cenerino e la Garzetta.

Un altro frequentatore è il grazioso Corriere piccolo, che spesso nidifica tra i sassi. Nelle acque poco profonde e con poca corrente è possibile osservare, durante la bella stagione, il piccolo ed elegante limicolo Cavaliere d’Italia, dalle lunghe zampe.

Lungo le rive è frequente anche la piccola Ballerina bianca, inconfondibile per il suo caratteristico movimento della coda, a cui si ispira il nome. Poco più in là, sul pelo dell’acqua, si può vedere passare in volo o tuffarsi il comune Cormorano, che poi sul greto apre le sue ali per asciugarle all’aria.

Il Ticino è inoltre una importante tappa di numerosi anatidi migratori, tra cui il Germano reale, le Alzavole, le Marzaiole, gli Svassi e i Tuffetti.

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Guardando sulla sponda opposta si osserva una linea diritta subito dietro gli alberi, rialzata rispetto al piano delle sponde: è il piano superiore dell’argine, su cui passa una stretta strada asfaltata. Percorrendola da Pavia fino a Carbonara al Ticino si può godere di un raro spettacolo nelle diverse stagioni: il Ticino con i suoi meandri e raschi, i boschi, le cascine, la campagna, le rogge e i fossi, le lanche.

Perché ci sono gli argini?

La valle del fiume Ticino è molto ampia, in media 5-6 chilometri. Dal punto di vista naturalistico, quindi, rappresenta un importantissimo corridoio ecologico in quanto ai lati del fiume si possono sviluppare vaste porzioni di territorio con discreta naturalità.

Tuttavia gran parte della valle è molto fertile e viene utilizzata dall’uomo soprattutto per la coltivazione dei campi e per l’allevamento di bestiame. Per agevolare tali attività, ad una distanza variabile dal fiume sono stati costruiti degli argini, terrapieni rialzati di alcuni metri dal piano golenale e quasi impermeabili che rappresentano la sponda artificiale del letto di piena del fiume e proteggono la vasta distesa golenale dalle inondazioni.

Le prime protezioni dalle inondazioni risalgono addirittura alla preistoria, ma solo nel Medioevo diventano una gestione ordinaria degli spazi fluviali.

Talvolta gli argini "strozzano" il fiume in un letto artificiale troppo stretto, che diventa pericoloso nelle piene più importanti; non è il caso del Ticino, che in genere conserva un’area golenale dove le acque si possono espandere senza creare grandi problemi.

Il percorso originale degli argini di norma segue il fiume, ma con il passare del tempo le dinamiche erosive e di deposito comportano mutamenti anche vistosi del tracciato fluviale che, ad un certo punto, arriva a trovarsi molto distante o, come di fronte alla Sora, molto vicino al fiume.

L’argine di fronte alla Sora

In questo punto l’argine si avvicina molto al fiume; si potrebbe meglio dire che il fiume, nel tempo, si è avvicinato troppo all’argine. Difatti ci si trova proprio sul lato esterno di un importante meandro, dove i fenomeni erosivi sono accentuati dal restringimento dell’alveo e, quindi, dall’aumento della velocità di corrente.

Dalla spiaggia ghiaiosa si vedono bene i gorghi dell’acqua, che aumentano la loro turbolenza nei pressi della riva.

Per evitare, quindi, che l’argine venisse raggiunto dai fenomeni erosivi è stata costruita una massicciata, cioè una difesa spondale, utilizzando massi provenienti dalle nostre Alpi.

Negli anni alcune massicciate diventano inutili e altre vengono costruite "inseguendo" le nuove erosioni fluviali legate alle divagazioni del corso d’acqua.

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Dove il Sentiero del Picchio si avvicina alla sponda destra della Roggia Referendaria, nel sottobosco si possono osservare tanti piccoli fusti, sottili e rigidi, senza foglie, di colore verde scuro, verticali e di altezza variabile da poche decine di centimetri a circa un metro: è l’equiseto invernale, detto anche rasperello perché, grazie alle sue proprietà abrasive, era usato per pulire il legno e il rame.

L’equiseto invernale

Gli equiseti sono piante erbacee perenni presenti in Italia con una decina di specie. Il nome deriva dal latino 'equus‘ = "cavallo" e 'saeta‘ = "seta", col significato di "coda di cavallo"; il motivo di questo nome è ben evidente per alcune specie, come Equisetum telmateia e Equisetum arvense.

Sono noti in erboristeria per le loro proprietà depurative e diuretiche.

Come quasi tutti gli equiseti, anche l’equiseto invernale – chiamato così in riferimento ai fusti persistenti durante l’inverno – preferisce i suoli umidi; la sua presenza, quindi, segnala la superficialità della falda dovuta alla vicinanza della scarpata del terrazzo.

Addentrandosi nel prato di equiseti si raggiunge subito un piccolo rigagnolo: è ancora la Roggia Referendaria, spesso alimentata solo da acque sorgive che drenano il terreno circostante. Qui il mantello di equiseto invernale arriva fino all’acqua.

Le zone umide

Verso la fine dell’inverno è il periodo migliore per addentrarsi in modo un po’ avventuroso nell’esplorazione della zona umida che da qui, ormai vicini alla fine del parco, risale verso l’ingresso dalla Strada del Chiozzo.

L’abbondanza di acqua si avverte anche nel terreno, sempre molto soffice e torboso, e nella grande varietà di micro-habitat semiacquatici.

Si incontrano distese di muschio, aree dove spuntano le vere code di cavallo (Equisetum telmateia) o i germogli del campanellino estivo (Leucojum aestivum) che fiorirà più tardi, quando la vegetazione sarà diventata quasi impenetrabile.

Quando la falda si alza si formano anche pozze semipaludose, che nella mappa del parco sono segnalate nel loro insieme come "risorgiva".

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Le attuali mappe catastali riportano solo due toponimi nel Parco della Sora, che è essenzialmente un’area boscata riparia all’interno della golena del fiume Ticino.

Uno indica la Strada vicinale Porto S. Sofia: si tratta dell’antico percorso che già prima del Medioevo fino alla metà del XIX sec. portava all’importante Porto di S. Sofia, poco a monte. Nella sentieristica del parco si sovrappone al primo tratto del Sentiero della Quercia, per risalire poi verso monte lungo il Sentiero del Gufo.

L’altro indica come Sorgente un piccolo ruscello che dalla pozza sorgiva più ad est, all’ingresso principale del Parco, scorre lungo il piede del terrazzo. Sulla storia di questa sorgente non ci sono notizie; tuttavia il recepimento del termine a livello catastale ne attesta un utilizzo storico, probabilmente regolato da diritti.

Le acque sorgive ruscellanti

Dai bacini sorgivi che si trovano all’ingresso principale sgorgano due ruscelli: uno dalla pozza ovest, che prosegue sotto il Sentiero della Quercia e si perde nel terreno alcune decine di metri più avanti; l’altro, quello indicato come Sorgente, dalla pozza est.

Il ruscello Sorgente scorre, come detto, lungo il terrazzo verso l’ingresso dalla Strada del Chiozzo; qui passa sotto il sentiero e, attraversando una densa macchia di bambù, va ad immettersi nella Roggia Referendaria.

Il fondo dell’alveo ha ghiaia fine e sabbia e l’acqua è sempre molto trasparente. Provenendo dal sottosuolo la temperatura è relativamente bassa in estate e, al contrario, mite nella stagione fredda. Questi piccoli ecosistemi, quindi, sono molto interessanti dal punto di vista ecologico e fanno parte del complesso mosaico ambientale legato agli ambienti laterali del fiume.

Quando la falda è bassa, come spesso succede in primavera, la Sorgente non è alimentata direttamente; tuttavia, seguendo il piccolo alveo si trova il fondo sempre più umido, fino alla formazione di minuscoli rivoli che garantiscono alla Roggia Referendaria, da questo punto in avanti, una minima portata in tutte le stagioni.

Proseguendo sempre lungo il terrazzo, la roggia drena altra acqua e va a formare una zona umida semipaludosa, che nella cartellonistica del Parco è indicata come Risorgiva. In realtà non si tratta di una zona ben localizzata, bensì di un’area piuttosto estesa, di estensione variabile secondo le vatiazioni di livello della falda.

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Nel primo tratto del sentiero si possono notare diversi boschetti di robinia con altre latifoglie tra cui vecchi pioppi, meli selvatici e querce di piccole dimensioni. Il sottobosco è intricato e dominato dai rovi ed è proprio in questa formazione che sverna il Gufo comune (Asio otus).

Apertura alare sino a 96 centimetri, per 34 centimetri di lunghezza e oltre 250 grammi di peso, fanno del Gufo comune un rapace notturno di medie dimensioni. Caccia, esclusivamente di notte, una grande varietà di piccoli animali: topi, toporagni, talpe, scoiattoli, ratti, insetti e uccelli. Durante il giorno, dorme nelle cavità degli alberi o nei vecchi ruderi, perfettamente mimetizzato grazie alla livrea di colore bruno macchiettato.

Testa, collo e parti superiori delle ali mostrano, infatti, una colorazione fulvo-marroncino con macchiettature più scure che rendono nel complesso il suo aspetto piuttosto mimetico. Le parti inferiori e i fianchi variano da sfumature giallo-ocra al castano chiaro con strie e barre nerastre, che contrastano notevolmente con le parti dorsali più scure. Di notte, è possibile distinguere un Gufo comune in volo proprio dal candore della parte inferiore delle ali in cui sono evidenti delle semilune carpali nere. I due sessi sono simili e la specie è anche facilmente riconoscibile per i tipici "ciuffi" che presenta sulle orecchie.

Come tutti i rapaci notturni, il Gufo comune ha gli occhi in posizione frontale all’interno di due dischi facciali divisi da un "V" centrale, bordata di bianco, che separa i due bulbi oculari giallo-arancioni.

Nidifica sugli alberi in vecchi nidi di altri uccelli, occasionalmente sul terreno. Tra marzo e maggio la femmina depone 3-5 uova, che cova per 25-30 giorni. A circa 2 mesi dalla schiusa i giovani diventano indipendenti. Di solito è esclusivamente la femmina ad occuparsi della cova e, in questo periodo, viene nutrita dal maschio. In annate particolarmente favorevoli le coppie possono portare a termine sino a due covate.

Curiosità

l Gufo comune non può muovere gli occhi: in compenso, però, riesce a ruotare la testa di ben 270°.

Durante l’inverno, questo interessante rapace notturno si riunisce, di giorno, su alberi usati come posatoi, probabilmente per assicurarsi protezione reciproca, e, da qui, prende il volo per cacciare, quando cala il buio. All’inizio della primavera, poi, le colonie si disperdono, per formare le coppie e nidificare.

Nella tradizione fiabesca e nel mondo dell’animazione il Gufo è quasi sempre rappresentato come un animale saggio ed erudito, che diffonde la sua cultura a tutta la comunità animale – e talvolta umana – con cui entra in contatto; al tempo stesso, viene rappresentato come un essere dal carattere molto pignolo e permaloso. Secondo una leggenda popolare nord-europea, il Gufo era considerato l’uccello portafortuna delle principesse discendenti da una misteriosa dinastia detta "Clementinum", insediatasi in Scandinavia intorno al 340 d.C. dal Mediterraneo.

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E’ un grande sentiero che collega direttamente al fiume la zona prossima dell’abitato, attraversando tutte le formazioni vegetali del parco senza addentrarsi in nessuna in particolare.

Lungo il sentiero si possono notare diversi esemplari di Farnia (Quercus robur, detta comunemente Quercia) che caratterizza e nobilita i boschi del Parco, essendo l’emblema di durata, maestosità e di forza.

È un albero molto longevo, con un’età media di 200 anni, ma che può raggiungere i 500-1000 anni.

Nel territorio del Parco arriva raramente a dimensioni imponenti o a età rispettabili. La crescita diventa rilevante soprattutto in terreni umidi e sciolti e non è il caso dei nostri boschi. Qui l’età media è intorno ai 50 anni: nel corso della seconda guerra mondiale le querce del Parco vennero quasi interamente abbattute per soddisfare il fabbisogno energetico di Milano.

Ha un tronco robusto e diritto, con rami irregolari e contorti e foglie disposte in modo sparso. La corteccia imbrunisce con l’età, formando fessure longitudinali abbastanza profonde; è liscia e grigiastra nella pianta giovane. Le foglie, di forma ovato oblunga con cinque o sette lobi per lato, sono caduche, alterne e semplici.

La pagina superiore è lucida, di colore verde scuro, quella inferiore è più chiara, pelosa sulle nervature.

Gli amenti (infiorescenze maschili) sono composti da fiori formati da un involucro con cinque o più lobi allungati e da quattro-dodici stami. I fiori femminili sono solitari o a gruppi di due-cinque e formano spighe peduncolate. La fioritura avviene quasi contemporaneamente all’emissione delle foglie, in aprile o maggio.

Il frutto è un achenio, chiamato ghianda, riunito in gruppi di due-tre su un peduncolo.

La Quercia preferisce suoli profondi, umidi, sciolti e ben aerati, ma si può insediare anche su terreni spogli e a forte drenaggio superficiale; resiste bene anche a immersioni prolungate e vegeta sui suoli acidi e antichi del pianalto.

Curiosità’

Il nome latino Quercus deriva dal celtico kaer, bello e quer, albero. La quercia è un albero nobile, viene tradizionalmente considerato il "re" degli alberi e per i Greci era considerato il primo albero comparso sulla terra per opera diretta di Zeus.

Fu considerato albero sacro dai celti e dai romani, per i quali era simbolo della forza e del potere: le sue fronde erano usate per incoronare i condottieri vincitori.

Il suo legno è uno dei più ricercati per costruzioni navali ed edili, travature e lavori di falegnameria.

È ottimo anche come combustibile.

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Il Sentiero del Fagiano costeggia tutta l’area dei prati incolti dove si avvistano spesso i grandi uccelli da cui prende il nome.

Sebbene sia una specie originaria dell’Estremo Oriente, il Fagiano comune (Phasianus colchicus) è presente in Europa fin dall’antichità. In passato la specie è stata introdotta nel nostro Paese, dove oggi vive allo stato selvatico, grazie soprattutto a centri di allevamento che poi liberano i giovani fagiani sul territorio a scopi venatori. Il risultato è un’ampia diffusione della specie sul territorio nazionale, tanto che è diventato difficile distinguere gli individui nati liberi da quelli nati in cattività. 

I Fagiani, hanno abitudini stanziali e sono soliti vagare per campi, prati e pianure fertili; difficilmente si inoltrano all’interno di foreste. In nessun caso si può dire che il Fagiano compia veri e propri trasferimenti, soprattutto in considerazione del fatto che vola solo in caso di estrema necessità.

La femmina di Fagiano depone dalle sei alle dodici uova alla volta. Una volta nati i pulcini crescono molto velocemente: nel giro di due o tre mesi al massimo il loro sviluppo è completo, ma fino all’autunno rimangono comunque sotto la protezione dei genitori. Il maschio, che può misurare da 66 a 89 cm, ha dimensioni maggiori della femmina, che non supera i 63 cm. Il corpo è piuttosto slanciato, con testa piccola e coda lunga, composta da sedici o diciotto penne. Le ali sono corte e arrotondate e le piume particolarmente lunghe.

Piuttosto accentuate sono le differenze tra i sessi: il maschio è più variopinto, con la parte anteriore della testa rosso acceso, il resto del capo e il collo tra il verde e il blu con un sottile collare bianco tratteggiato alla base del collo. Il resto del corpo è in gran parte marrone, tendente al beige sul petto e più scuro sulla schiena, con ampie chiazze e penne più chiare. Il piumaggio della femmina è più chiaro e discreto, con sfumature che vanno dal marrone al beige.

Curiosità

Tra tutti i Galliformi, il Phasianus colchicus è certamente quello con i colori più sgargianti. Si tratta di una specie timida e schiva, che ama vivere nascosta tra i cespugli. Diverso l’atteggiamento nel periodo dell’accoppiamento, quando esplode la gelosia tra i maschi, che danno il via a frequenti lotte per la conquista delle varie compagne.

Il canto del maschio è composto di due note alte e grattate, emesse drizzando il busto e il collo e seguite da un breve frullo d'ali. Può essere udito a oltre 1 km di distanza. Entrambi i sessi, se disturbati, si involano fragorosamente emettendo un rumoroso e continuo chiacchiericcio.

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Come si può capire dal nome del sentiero, le principali formazioni presenti in questo percorso sono arbusti a Biancospino.

Il Biancospino (crataegus monogyna) è un arbusto spinoso che può talvolta raggiungere un’altezza di 10 metri con portamento da vero e proprio albero. Le foglie sono ovoidali o romboidali, con margine dentellato o inciso da 3–7 lobi poco profondi; i fiori ermafroditi e con cinque petali sono bianchi e sbocciano in aprile-maggio raccolti in corimbi (piccoli ombrelli) terminali ed eretti.

L’arbusto produce piccoli pomi di forma tondeggiante, rossi quando diventano maturi, con un solo seme osseo. I frutti sono insipidi e farinosi, ma sono molto apprezzati dagli uccelli. Spesso si trova nelle siepi ed è diffuso nelle radure dei boschi: tollera l’ombra e predilige terreni incolti. I frutti sono stati utilizzati in tempi di carestia: seccati e macinati, venivano mescolati al pane.

Curiosità

Il Biancospino è ampiamente utilizzato nella medicina popolare come antispasmodico e regolatore di pressione e pulsazione cardiaca (viene chiamata la "valeriana" del cuore, in quanto è un ottimo tonico stimolante cardiaco, dilata le arterie coronariche migliorando l'afflusso del sangue, elimina le aritmie e riduce i livelli di colesterolo).

In cucina i frutti del Biancospino vengono usati per bevande fermentate e per confezionare una delicata marmellata lievemente astringente, mentre in campo cosmetico il bagno di Biancospino è apprezzato per le proprietà rilassanti; foglie e fiori hanno azione normalizzante e astringente sulle pelli grasse.

Il legno di colore rossastro, molto duro e compatto, viene impiegato per lavori al tornio e per la produzione di ottima carbonella.

Nell'antica Grecia e a Roma il Biancospino era considerato una pianta fortemente simbolica legata alle idee di speranza, matrimonio e fertilità.

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Lungo questo sentiero, si possono scorgere diverse specie di Picchio, le più comuni sono il Picchio Verde e il Picchio Rosso Maggiore.

Picchio Verde

Lungo circa 30 centimetri, raggiunge il mezzo metro di apertura alare, per 150-200 grammi di peso. La parte superiore del dorso si presenta verde scuro, per virare verso giallo e grigio-chiaro nelle parti inferiori. L’apice del capo è di colore rosso, la faccia nera, mentre dal becco partono due strie nere verso la nuca, tendenti al rosso nel maschio. La coda è rigida e a forma di cuneo, e permette di appoggiarsi al tronco durante la percussione. Per aggrapparvisi, dispone di quattro dita uncinate e robuste, due in avanti e due all’indietro.

Specie piuttosto schiva, a differenza di altri picchi si fa riconoscere più per il canto che per il tipico "tambureggiare", è dotata di un becco diritto e robusto, saldato con la calotta cranica. Frequenta di preferenza boschi maturi, soprattutto di latifoglie, con presenza di alberi morti ricchi di cavità e predilige le zone alberate discontinue, alternate da zone coltivate. È l’unica specie di picchio che scende regolarmente a caccia anche sul terreno, alla ricerca di formiche e delle loro larve, di cui è ghiotto.

Rispetto ad altri picchi mostra comunque buone doti di adattabilità, potendo costruire il nido in parchi e grandi giardini e non disdegnando manufatti costruiti dall’uomo come pali o infissi in legno posti ai margini delle zone boscate. Quando arriva il periodo della nidificazione, di norma tra aprile e maggio, il Picchio verde cerca un luogo adatto allo scavo del nido, oppure occupa cavità già disponibili come vecchi nidi di altri picchi o concavità naturali dei tronchi. Le uova, tra 5 e 8, sono incubate per almeno 14 giorni e i pulcini si trattengono nel nido fino alla quarta settimana di vita.

Curiosità

Secondo una credenza cristiana, quando Dio volle creare fiumi e ruscelli chiese aiuto a tutti gli uccelli dal becco robusto e l’unico che non rispose all’appello fu il Picchio, per cui il Signore lo punì dicendogli che non avrebbe più potuto bere una goccia d’acqua che avesse toccato terra. Per questo, quando è assetato, il picchio si rivolgerebbe all’Altissimo con un grido ripetuto, chiedendogli di far cadere acqua su foglie e rami degli alberi e Dio, misericordioso, gli manderebbe la pioggia. Da questa leggenda nacque la credenza secondo la quale il picchio che grida ripetutamente annuncerebbe pioggia.

Picchio Rosso Maggiore

Specie di dimensioni medio-piccole, non supera di solito i 21-26 centimetri di lunghezza, per un’apertura alare di 42-43 centimetri e 60-90 grammi di peso. I due sessi presentano una livrea molto simile, bianca e nera con sottocoda rosso. Il maschio si differenzia tuttavia per l’evidente macchia rossa presente sulla nuca. Il becco è nero, appuntito e ben robusto e le zampe sono conformate per agevolare la progressione su tronchi verticali, che il Picchio rosso maggiore risale a saltelli, aggrappandosi con le forti zampe e aiutandosi con la coda, molto robusta.

Prevalentemente insettivoro, può integrare la propria dieta con pinoli e frutta, specialmente al di fuori del periodo riproduttivo. Di solito, individua gli insetti e le larve che vivono sotto la corteccia dell’albero dal rumore che emettono mentre rodono il legno, allorquando, grazie al robusto becco, buca il legno e con la lingua retrattile cattura l’insetto.

Dopo il lungo rituale di corteggiamento – che inizia già a febbraio con l’insistente "tambureggiare" del maschio sui tronchi per delimitare il territorio e attirare l’attenzione della compagna – la coppia nidifica in cavità scavate nel tronco o in rami particolarmente robusti. Dal diametro d’ingresso non è superiore ai 5 centimetri, viene scavato a circa una decina di metri d’altezza. La femmina vi depone 4-6 uova, per una sola covata l’anno, che vengono covate per circa due settimane. Occasionalmente la specie può depredare uova o pulcini da altri nidi, che spezzetta e disossa accuratamente.

Curiosità

È una specie solitaria. Il periodo migliore per osservarla è febbraio-marzo, quando, alla vigilia della fase riproduttiva, inizia a mostrare un comportamento "territoriale", difendendo vivacemente la propria porzione di foresta. Si può facilmente osservare, allora, mentre tamburella con il becco sui tronchi o sui rami cavi per delimitare il territorio.

Il volo è tipicamente molto ondulato. Cattura le proprie prede – soprattutto insetti – infilando la lunga lingua nelle gallerie scavate nel legno con il becco. In autunno la sua dieta è composta anche di semi e frutti, quali bacche e ghiande, che accumula nel nido.

Non stupisce che, quando nel febbraio del 2005 lo scienziato canadese Louis Lefevre ha presentato un metodo per misurare il quoziente intellettivo degli uccelli, in termini di "strategie alimentari" il Picchio sia stato classificato come una delle specie più intelligenti.

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Il Ticino nasce in Svizzera nel Passo della Novena (2478 mt.). Dopo un percorso selvaggio, all’imbocco della piana di Magadino il Ticino viene imbrigliato in argini che ne fanno un banale canale fino al delta con cui sfocia nel Lago Maggiore. Ne esce nei pressi di Sesto Calende (VA), a quota 193 metri sul livello del mare, per proseguire il suo corso fin oltre Pavia dove, in località Ponte della Becca, confluisce nel fiume Po.

La lunghezza complessiva è di 248 chilometri, 110 dei quali interessano il territorio dei Parchi omonimi.

Geomorfologicamente la valle del Ticino è caratterizzata da una forma detta "a cassetta": il fiume si è infatti scavato una vallata in tutti gli ambienti attraversati (colline moreniche, pianalti e pianura) piuttosto stretta nella parte superiore e più ampia in quella centrale. Seguendo il corso del suo alveo, si può notare che il dislivello tra la pianura e il greto diminuisce man mano che ci si allontana dal Lago Maggiore: nel tratto da Sesto Calende a Somma Lombardo il Ticino scorre tra le colline moreniche con una forte differenza di quota; ad Oleggio il dislivello tocca i quaranta metri, mentre a Vigevano i venti.

Il corso del fiume è in costante evoluzione, soggetto a incessanti modificazioni e con un equilibrio dinamico che è elemento fondamentale per il mantenimento del valore ecologico del fiume e della sua vallata. Negli ultimi venti chilometri il fiume torna a corso unico, anche se abbastanza tortuoso, con sponde ben definite all’interno della piana alluvionale.

La portata media del Ticino sublacuale è stabilizzata attorno al 300 mc\\\\s, con i deflussi massimi nel periodo maggio, giugno, e le minime in inverno. I picchi di portata massima tuttavia si registrano prevalentemente in autunno. La piena ordinaria del Ticino (statisticamente tre volte ogni quattro anni) è di circa 900 mc\\\\s.

Interventi di contenimento delle sponde con pietre e blocchi in cemento, iniziati massicciamente dagli anni Cinquanta, hanno di fatto limitato la nascita di nuove "lanche". Queste sono parti del fiume, in corrispondenza di anse, pian piano escluse dal percorso della corrente e in seguito del tutto isolate dal corso del fiume. Le vecchie lanche tendono ad interrarsi a causa di sedimenti che si depositano nel corso delle piene, diventando terreno fertile per la vegetazione palustre, che, inevitabilmente, ostruisce e colma i fondali.

Il fiume Ticino è tra i fiumi italiani di maggiore interesse naturalistico. La tutela esercitata con l’istituzione dei parchi (Lombardia e Piemonte) ha contribuito alla salvaguardia delle rilevanti essenze naturalistiche (boschi ed aree umide) e consente una maggior salvaguardia naturalistica.

PARCO DEL TICINO 

Il "Parco del Ticino" si estende lungo il fiume omonimo tra Piemonte e Lombardia e amministrativamente, per il territorio lombardo, è gestito da un Ente di diritto pubblico, l’Ente Parco Lombardo della Valle del Ticino.

Il Parco Lombardo della Valle del Ticino è stato costituito in attuazione della Legge Regionale 9/1/1974, n. 2, che ha sancito la nascita del primo Parco Regionale istituito in Italia. Ai sensi della stessa legge, come modificata dalla LR 12/2011, e della LR 16/07/2007,  fanno parte dell’Ente Parco 47 Comuni e 3 province (Varese, Milano e Pavia).

Nel 2002 con LR n. 31 del 12 dicembre, è stato istituito il Parco Naturale della Valle del Ticino, (dove si applica a pieno titolo la Legge 394/91) che ammonta a oltre 20.000 ettari di superficie situati principalmente lungo l’asta fluviale e costituiti dalle aree di maggior pregio naturalistico, anch’esso gestito dall’Ente Parco Lombardo della Valle del Ticino.

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Data ultima modifica: 04/03/2018